Gruppo A.N.M.I. M.O.V.M. Gino BIRINDELLI e C.G.V.M. Franco Omero DEL MINISTRO Piazza Simonetti, 1 51017 Pescia   (PT)
E-mail anmipescia@gmail.com                                                      michelenicastro@gmail.com
cell. 340 49899674 (Presidente)

LE  «PULCI DEL MARE» CHE VINSERO I GIGANTI

Erano i MAS i motoscafi anti-sommergibili inventati dall'ingegnere livornese Bisio
Gramaticopulo da Capodistria: un oscuro eroe precursore
(tratto da Navi e Marinai)

 

Come sempre, quando c'è di mezzo un'invenzione, non manca mai chi sostiene di averla inventata prima. Questo può dirsi anche per i Mas, i « motoscafi anti‑sommergibili » (D'Annunzio legò la sigla al motto « memento audere semper », ricordati di osare sempre) che hanno raccolto tanta gloria nelle due grandi guerre mondiali. Ma nel caso specifico è facile sostenere, senza tema di smentite, che i Mas li abbiamo inventati noi italiani. I primi studi risalgono addirittura al 1906, quando si pensava a una « barca torpediniera mossa da motori a scoppio », destinata a operare in prevalenza nell'Alto Adriatico, cioè in un bacino idrografico dalle particolari caratteristiche. Si presero in esame, prima di tutto, i canali di navigazione interni della laguna veneta, da Porto Lignano al Delta dei Po, vagliandone i fondali, la larghezza, lo sviluppo delle curve e l'allacciamento con gli sbocchi al mare; si concluse con un progetto di scafo adatto a navigare in queste acque ristrette e a reggere nel contempo il mare aperto anche se agitato.

 

Lo ricorda Erminio Bagnasco, nel suo fondamentale volume I Mas e le motosiluranti italíane, edito a cura dell'Ufficio storico della Marina. Il Mas doveva pescare pochissimo, essere veloce, bene armato, e riuscire a stare in mare, un mare piatto come l'Adriatico che si guasta, però, in un attimo, sotto il vento « garbino » o sotto la « bora »... Il Mas in origine doveva servire a pattugliare i canali della laguna veneta, doveva fungere da estrema difesa contro il naviglio sottile nemico che fosse venuto troppo sottocosta, e sostituire le torpediniere della difesa costiera quando queste erano impegnate al largo. Doveva essere veloce per arrivare presto, o disimpegnarsi presto, se l'avversario era troppo grosso; doveva essere basso sull'acqua per risultare invisibile o quasi; doveva essere potentemente armato per far fronte a tutti i nemici:
dal sommergibile, contro il quale avrebbe potuto usare bombe di profondità, alle unità più grosse,
contro le quali avrebbe impiegato mitragliatrici o cannoncini (40 che usavano le torpediniere o il 76 dei caccia). Oppure addirittura i siluri, trasformandosi così da unità da difesa in unità d'attacco, micidiale per la sorpresa, la velocità e l'invulnerabilità dipendente dalle dimensioni e dall'agilità. Prima ancora della nostra entrata in guerra, lo stato maggiore della marina aveva commissionato alla SVAN di Venezia i primi due « motoscafi armati ». Anzi, come si chiamavano allora, « autoscafi ». Si trattava, in pratica, di trasformare per usi militari certi tipi di scafi a motore leggerissimi già usati dagli sportivi e che si distinguevano per la loro velocità e lo scarsissimo pescaggio.

Squadriglia di MAS  in Adriatico

Vennero usati, per lo più, in appoggio agli idrovolanti, o per passare direttamente sopra i campi minati e le ostruzioni che avrebbero impedito il movimento a unità più pesanti e di maggiore pescaggio. Basterà ricordare che i Mas pescavano al massimo quaranta centimetri: quindi potevano sfrecciare tranquillamente sopra le mine, sopra i bassifondi e su per i canali della laguna e della pianura veneta.
Due fasi della costruzione dei  MAS  (intorno al 1915 -1916) nel cantiere veneziano della ditta SVAN.

Che fossero utili, lo si comprese subito, tanto è vero che già nel luglìo 1915 vennero messe in cantiere 50 unità, e altre 50 ne saranno impostate nella seconda metà dei 1916. Ma il programma più massiccio fu varato nel 1917, quando si ordinarono 320 unità, sia dei tipo silurante sia di quello antisommergibile: in totale, nel corso dei conflitto, 422, 244 dei quali entrarono in servizio durante le ostilità. L'idea dei Mas l'avevano avuta anche gli inglesi, che, come noi, avevano mobilitato gli sportivi . dei loro yachting clubs, dovendo però fare i conti con un mare diverso, poiché il mare dei Nord non è l'Alto Adriatico. Quindi, per le loro « patrol boats » andarono a chieder aiuto ai cantieri americani: interessavano modelli robusti, veloci, in grado di tenere bene il mare, capaci di raggiungere i venti nodi e di dare la caccia ai sommergibili tedeschi, con le bombe di profondità e i cannoncini a tiro rapido. Nacquero così i « cacciasommergibili » prodotti dal cantiere Elco di Bayonne, New Jersey, che avremo anche noi, e saranno la cosiddetta « classe H ». Unità eccellenti, tanto è vero che alcuni attraversarono l'Atlantico in formazione, per venire a battersi nei nostri mari. Consumavano molto, facevano un frastuono d'inferno, ma funzionavano bene.
Una delle più belle avventure a bordo dì un Mas risale al marzo dei 1916, e ne è protagonista un oscuro eroe, il volontario motonauta Gramaticopulo di Capodistria, che chiese al comando di poter uscire da Venezia per andare al largo. Il marchese Dentice di Frasso, che comandava la piazza, lo autorizzò e Gramaticopulo uscì, entrò nel golfo di Trieste, passò davanti a Capodistria, cercò, al tramonto, il campanile di Buje, « la spia dell'Istria», e andò a piazzarsi, alle due di notte, di traverso sopra uno sbarramento di mine austriaco, proprio davanti a Trieste. Là attese, con gli uomini nascosti nella tuga. All'alba, gli austriaci lo notarono. Fermo, in mezzo a quello che sapevano essere un loro campo minato, non poteva trattarsi che di un loro scafo in avaria.

Uscirono per dargli aiuto, non senza aver sparato qualche colpo nelle vicinanze, per precauzione. Ma nessuno si mosse, a bordo del battello italiano. Così quando gli austriaci si avvicinarono con i loro « autoscafi », furono accolti da una raffica di mitraglia che ferì uno dei piloti. Allora il nemico mosse all'attacco, per speronare: con il risultato che mentre il nostro Mas ebbe il bordo scheggiato, l'investitore riportò una grossa falla e affondò. Gramaticopulo cadrà più tardi, volando sulla sua Capodistria. Dalla costa aprirono  immediatamente il fuoco, ma Gramaticopulo e i suoi ripescarono i quattro austriaci naufraghi, riaccesero i motori e raggiunsero Grado, con i  loro prigionieri, degni precursori della beffa di Buccari e di un'infinità di altre gloriose imprese in acque nemiche. Ma com'erano fatti, i Mas? E chi li aveva disegnati? Li aveva progettati l'ingegnere livornese Attilio Bisio, il quale ne aveva curato in modo particolare la sagoma bassa e sfuggente sull'acqua, le speciali linee di chiglia per consentire che i «baffi » di spuma non si rovesciassero a bordo in velocità, una particolare struttura dei fianchi, un pescaggìo (come si è detto) minimo, quaranta centimetri, e ampio spazio per collocarvi possenti motori.
Due grossi siluri costituivano l'armamento rivoluzionario dei MAS. Qui sopra MAS a Venezia durante la 1° guerra mondiale. Si vedono chiaramente le due micidiali bombe fissate sui fianchi della veloce imbarcazione.
Infatti l'apparato propulsore era composto da due motori accoppiati da 250 HP l'uno: potevano raggiungere i 32 nodi, cioè oltre 50 chilometri áll'ora; i primi modelli potevano imbarcare una tonnellata di benzina, i modelli successivi, più grossi, anche due. L'armamento dei tipi iniziale era di un cannoncino e di un paio di mitragliatrici, ma col progredire del tempo vi furono modelli che montavano addirittura un cannoncino da 76 mm, due o quattro mitragliatrici, e, a seconda dei casi, fino a 12 bombe di profondità antisommergibili, e due siluri. I motoscafi siluranti, o d'assalto, portavano o due siluri in appositi lanciatori a tenaglia ai lati della tuga, o un tubo lanciasiluri che lasciava cadere all’ indietro il siluro. In questo caso il Mas doveva disimpegnarsi alla svelta in virata, prima di farsi raggiungere dal siluro che prendeva velocità; ma un simile tipo fu poco usato, per la sua scarsa praticità. I Mas erano costruiti in legno di cedro, e alcuni tipi si potevano chiudere completamente, in modo che nemmeno una goccia d'acqua potesse penetrare nell'interno e fossero in grado di prendere il mare anche durante un uragano. L'equipaggio era composto da un ufficiale, due motoristi, un sottonocchiere, un cannoniere, un mitragliere, un prodiere e tre marinai. Il prodiere aveva il compito di stare bocconi a prua del battello, per segnalare la presenza di ostacoli o ostruzionì che il timoniere, in determinate circostanze, come le manovre in porto, non poteva scorgere dalla sua posizione. Ogni Mas era anche dotato di un motorino elettrico a batteria per consentirgli brevi spostamenti a una velocità di seì nodi, in completo silenzio, in prossimità delle coste o in un porto avversario, o nella caccia a un sommergibile. Naturalmente, a velocità ridotta, si poteva marciare silenziosamente per percorsi maggiori. I Mas erano fabbricati a Venezia, dalla SVAN, famosa per la produzione dei motoscafi‑passeggeri usati in laguna. Dopo Caporetto però la produzione fu spostata a La Spezia e nei cantieri Baglietto della riviera ligure. I modelli di Mas prodotti in questi cantieri presero il nome di « tipo liguria » e «tipo tirreno ».
L'inventore e progettista dei primi Mas fu l' ingegnere livornese Attilio Bisio

Alla bandiera di combattimento della flottiglia deì Mas dell'Alto Adriatico venne assegnata la medaglia d'oro al valor militare. Durante tutta la guerra il nemico non seppe e non poté né catturare né distruggere un Mas. Per aver navigato e combattuto ed operato prodigi sui Mas, ebbero la croce di ufficiale dell'ordine di Savoia il capitano di vascello Costanzo Ciano, la croce di cavaliere il capitano di fregata Luigi Rizzo; ebbero la medaglia d'oro al valor militare i capitani di fregata Luigi Rizzo e Mario Pellegrini, il tenente colonnello del genio navale Raffaele Rossetti, il tenente di vascello Ildebrando Goiran, il capitano medico Raffaello Paolucci, il sottotenente di vascello Giuseppe Aonzo, il capo torpediniere Antonio Milani, ìl sottocapo‑fuochista Giuseppe Corrias, il sottonocchiere Francesco Angelino.
Ebbero poi la medaglia d'argento il capitano di vascello Costanzo Ciano, il capitano di fregata Luigi Rìzzo, il capitano di corvetta Ildebrando Goiran, il capitano di corvetta Gennaro Pagano di Melito, i tenenti di vascello Alfredo Berardínellì, Profeta De Sanctis, Mario Azzi, Mario Heusch, il tenente macchinista Vincenzo Turiddo, i capi gruppo motonauti Angelo Procaccini, Cesare Imperiale, Luigi Di Sangro, i volontari Luigi Carones, Emi,lio Manfre~di, Gino Barsanti, Felice Gessi, Romano Manzutto, il sottotenente Andrea Ferrarini, il capotimoniere Barchetta, il sottonocchiere Bossi e i marinai torpedinieri, fuochisti e cannonieri Bertucci, Santarelli, Feo, Capuano, Defano, Annaloro, Calipani, Tomat, Donat, Baganto, Trentin, Battaglini, Volpi, Bertelli, Veronese, Maschietto, Braccioni, Milani, Brignetti, Verzanini, De Angelis, Buonacorsi, ecc.
Un elenco di valorosi, una pagina di gloria per la marina da guerra italiana. 

La Beffa di Buccari

L’azione si è svolta nella notte sull’11 febbraio del 1918, ed è annoverata tra le azioni più audaci della guerra. Al comando della spedizione è Costanzo Ciano, tra i partecipanti abbiamo Luigi Rizzo e, volontario, Gabriele D’Annunzio i MAS impiegati sono in tutto 3: il 94, 95, 96 i quali erano del tipo “Orlando 12t” una versione modificata dello “SVAN 12t” che avevano un apparato ausiliario per la marcia silenziosa a bassa velocità.
I MAS partono nella mattina del 10 rimorchiati ciascuno da una torpediniera, scortati da unità leggere, alle 22 iniziano il loro pericoloso trasferimento dalla zona compresa tra l’isola di Cherso e la costa istriana sino alla baia di Buccari; dove dovrebbero trovarsi navi mercantili austriache. L’audacia della missione sta nel fatto di aver attraversato per 50 miglia il sistema di difesa costiero austriaco che non si è accorto di nulla, i Mas hanno attaccato senza successo ma sono rientrati eludendo la sorveglianza così come avevano fatto per entrare, rivelando le deficienze delle difese imperiali. Inoltre D’Annunzio gettò in mare davanti alle coste nemiche tre bottiglie ornate di nastri tricolore contenenti questo messaggio: “In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’italia, che si ridono di ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre ad osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto, il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro, è venuto con loro a beffarsi della taglia”.
Ovviamente la presenza del poeta ha molto amplificato la portata della cosa dato anche che lo stesso con la sua abilità propagandistica è riuscito a dare grande risalto all’impresa, portandola alla conoscenza della gran parte dell’opinione pubblica non solo nazionale. In quella occasione poi D’Annunzio conia quel motto, utilizzando la sigla di quei mezzi, che diverrà il motto dei MAS e che ancora oggi e il motto delle forze veloci costiere italiane, “Memento Audere Semper”, “RICORDATI DI OSARE SEMPRE!”.